Per uno strano motivo, ultimamente, leggo libri datati. La precedente recensione è stata su Il deserto dei Tartari del 1940, la prossima sarà su Lettera a un bambino mai nato scritto da Oriana Fallaci nel 1975 e questa è su Il commesso di Bernard Malamud, la cui prima edizione originale risale al 1957.
Vi dirò, non mi dispiace questa passeggiata nel tempo, soprattutto, perché mi ha permesso di conoscere il signor Malamud.
Bernard Malamud lo conoscevo di fama: al corso di scrittura (durante il quale ho incontrato Valeria) spesso è stato nominato, ho ritrovato il suo nome tra le pagine di Atti osceni in luogo privato e, nelle due occasioni in cui l'ho “incrociato”, Marco Missiroli ha parlato di questo scrittore. Ho segnato il suo nome nella wishlist ed è rimasto lì fino a oggi. E che vi posso dire? Se volete un sunto, vi dico che leggerò certamente e assolutamente altro di Malamud, se volete avere un commento più approfondito, continuate a leggere qui sotto.
Il commesso ha una trama semplice che gira attorno a tre personaggi principali. Il primo che viene presentato è il padrone di un negozio di alimentare, Morris Bober, un ebreo emigrato in America, che un giorno si ritrova in bottega un giovane italiano dal passato tormentato, Frank Alpine, che si offre di dare una mano come commesso. Frequentando casa Bober, Frank si innamorerà di Helen, la figlia del negoziante, una ragazza che desidera avere il meglio dalla vita, non vuole accontentarsi come hanno fatto i suoi genitori.
Con una scrittura povera di abbellimenti, fluida, ironica Malamud ci descrive una situazione di degrado, di difficoltà non solo economica e sociale, ma anche e soprattutto spirituale. I due protagonisti maschili, uno ebreo l'altro cristiano, rappresentano i due modi diversi con cui le due religioni si approcciano al peccato. Se il più giovane ricerca la redenzione attraverso un diverso stile di vita fatto di buone azioni, l'uomo maturo, invece, crede che non esista il perdono, ma che di fronte a Dio bisogna dimostrare il proprio pentimento anche soffrendo.
Ecco che l'autore (lui stesso ebreo) attraverso le parole di Frank esprime una critica nei confronti degli ebrei che vivono per soffrire. Chi ha più mal di pancia e riesce a tenersi più a lungo senza correre al gabinetto, quello è l'ebreo migliore. L'ironia di Malamud non si consolida solo nelle parole ma per tutto il romanzo è lì, nascosta, fino allo “schiaffo” conclusivo. Nel procedere della narrazione l'autore ci porta a sperare, a credere che grazie alle buone azioni del commesso la situazione si sarebbe sistemata e, improvvisamente, ci sorprende con un finale circolare, a confermare che alla sofferenza e al pentimento non si può sfuggire.
Il negozio di Bober è una metafora della vita: richiede sacrificio, ti illude e in cambio non ti dà nulla. È realmente così? Bisogna rassegnarsi come hanno fatto Morris e Frank?
A quanto pare, in questo periodo, non riesco a sfuggire a questi romanzi cupi che mi hanno messo difronte alle assurdità della vita che ci porta a credere al meglio, ma che in realtà non ci porterà mai nulla, sfuggendoci dalle mani. Allegria, insomma!
Consigliato a … Chi vuole un buon esempio di scrittura
Sconsigliato a … Chi cerca una lettura allegra
Note
Titolo originale: The Assistant
Anno: 1957
In Italia è stato pubblicato per la prima volta nel 1962 con il titolo Il giovane di bottega.